Baglioni si regala un film sul megaconcerto di Caracalla: “Sul palco mi sento vivo, voglio tornare negli stadi. La mia canzone preferita? ‘Fammi andar via’”

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(di Andrea Carugati)

Claudio Baglioni fa il suo esordio al cinema. Non dietro la macchina da presa, come il collega Luciano Ligabue. E neppure come attore in senso stretto. Anche se il protagonista, che dubbio c’era, è lui. “Tutti su”, il titolo del film che andrà nelle sale per soli tre giorni, 15, 16 e 17 maggio, 300 copie distribuite da Medusa, una sfida in tempi di crisi del botteghino. E non è un caso che il 16 sia anche il 72esimo compleanno dell’artista, e che i produttori abbiano inserito un sottotitolo “Buon compleanno Claudio”, che a lui ha fatto un po’ storcere il naso: “Pensavano di farmi un regalo, avrei preferito una cassa di vino…”. Non si tratta di un classico docufilm con backstage e interviste, come quelli di Vasco Rossi. No, il film che dura ben 135 minuti è la riproduzione del concerto tenuto Roma, alle Terme di Caracalla, il 19 giugno 2022. L’ultimo di 12 eventi che l’anno scorso hanno aperto la stagione lirica del Teatro dell’Opera di Roma: 26 canzoni, una dopo l’altra, filmate da Duccio Forzano che collabora con lui da tantissimo tempo e ha curato anche la regia dei suoi due Sanremo nel 2018 e 2019, ai tempi del Baglioni “dittatore artistico” dell’Ariston. Una sorta di “best of”, visto che di brani all’attivo ne ha oltre 350, “e ogni volta fare una scaletta è una croce, ma non posso esagerare con la lunghezza dei concerti”. Questo film, ad esempio, non riproduce tutto l’evento di Caracalla, c’è già stata una dura selezione, ma non mancano i grandi classici come Avrai, La Vita è adesso, Mille giorni di te e di me. Mentre solo sui titoli di coda, in un assolo al pianoforte, compaiono le hit degli anni 70 che l’hanno scaraventato nel successo, da Questo piccolo grande amore, a E tu, Amore bello e Sabato pomeriggio.

Un mega show con 123 persone sul palco tra orchestra, il Coro Giuseppe Verdi che si aggiunge alle tradizionali coriste e 12 performer che danno vita a uno spettacolo nello spettacolo, raccontando con i loro movimenti le canzoni sotto la regia Giuliano Peparini. Per Baglioni questi mega show non sono una novità, già dal 1990, con i concerti dopo il suo album “Oltre”, ha iniziato il percorso del “racconto multidisciplinare” e “questo lavoro si è affinato nel tempo”. Fino a dire che “invecchiando il nostro scopo è perfezionare quello che abbiamo fatto“. L’idea è sempre quella di “affascinare le persone”, suscitare “un senso di meraviglia”: “Noi siamo venditori ambulanti di suggestioni, bambini che non vogliono crescere e invitano a guardarli altri bambini che sono gli spettatori”. Lui bambino non è più, ma come l’amico Gianni Morandi (con cui ha condiviso nel 2015 il tour Capitani coraggiosi), è ancora un vulcano di energie e di progetti, soprattutto live. “Questo concerto non l’abbiamo registrato pensando di farci un film, ma perchè altre volte ci eravamo mangiati le mani per non averlo fatto”, racconta ai giornalisti dopo la proiezione romana. “Vederlo mi ha emozionato, nessuno di noi sul palco aveva la contezza di tutti i punti di vista che il film restituisce. Stare sul palco è stato inebriante, c’era una energia fisica, come uno spostamento d’aria prodotto da 120 persone, avevo la sensazione di essere qualcosa, come quando nuoti sott’acqua”. E confida: “Dopo 55 anni di carriera l’ultimo scopo che mi motiva è sentirmi così vivo come quando sto sul palco”. Quanto al cinema, è un concetto molto presente nei suoi testi, fin da quel “giornale aperto sulla pagina dei film” in Poster e agli album concepiti come racconti a puntate e opere rock,a aprtire da Questo piccolo grande amore. “Ho sempre invidiato chi fa cinema”, racconta. Immediato il riferimento alla recente cena a casa sua con registi come Sorrentino, Verdone e Muccino. “Eh sì, li invito perchè sono in cerca di qualche scrittura…”,ironizza, poi racconta di quanto con Lucio Battisti era stato contattato per un film “di fantascienza erotica” ambientato in una Roma criminale “in cerca di redenzione”. “C’era però uno dei due protagonisti che doveva morire, e alla fine non se ne è fatto nulla perché né io né Lucio volevamo quella parte…”.

Tornando alla sua famosa cena romana, che vedeva come ospite anche la leader del Pd Elly Schlein, Baglioni si mostra infastidito dal clamore: ”Ci tengo a dire che tutte le persone che c’erano a casa mia quella sera erano tutti ospiti nello stesso identico modo: non ho mai fatto classifiche”, puntualizza. “Purtroppo questi sono i nostri tempi: anche se uno fa una cena è come se si dovesse mettere un elmetto per entrare in una barricata delle mille guerre che ogni giorno si fanno, stupide e insensate che nutrono di banalità il pubblico”. Insomma, se già nei ruggenti anni 70 si era fatto la fama di cantante disimpegnato dalla politica, al contrario di molti suoi colleghi, non ha certo intenzione di cambiare pelle adesso. “E comunque alle prossime cene inviterò meno persone”, prova a districarsi. Quanto alla musica, annuncia di voler tornare prima o poi in uno stadio, anche se li ritiene “i posti meno adatti per i concerti, perchè nessuno vede e ascolta veramente bene”. “Prima o poi lo farò, è una messa cantata, un rito, uno spettacolo massimalista. Ma li spazi li accomoderemo in modo che la gente veda, non ha senso andare a un concerto per guardare il maxischermo”. Per l’autunno è già pronto il nuovo tour “A tutto cuore”, 14 date che partiranno dal Foro Italico di Roma il 21 settembre per concludersi il 21 ottobre a Bari.

Ph. Roberto Panucci

Quanto ai suoi gusti musicali, Baglioni confessa di non ascoltare tanta musica, “neppure le mie canzoni”. Sulla sua opera dice di essere “il primo critico, nel senso che cerco di accorgermi quando una canzone è scritta bene ed è sincera, anche perchè a tutti capita di scrivere un po’ di maniera, di mestiere”. Di ‘Questo piccolo grande amore’ ripete che “quelle canzoni popolari degli anni 70 sono il basamento della mia carriera”, ma di certo quel brano “mi ha afflitto”. Dopo tanti tentativi di riarrangiarla e stravolgerla ha rinunciato quando “una donna a Palermo mi guardò dritto negli occhi: ‘Lei non può permettersi di farla così…’”. Inutili le rimostranze sui diritti dell’autore. Di certo, confessa, la sua preferita è una canzone meno conosciuta, “Fammi andar via”, brano scritto nel 1995 nella maturità dei quarant’anni. “La amo molto, ancora mi fa commuovere”, dice. Una canzone d’amore dura, lontana da certi baglionismi d’antan da “accoccolati ad ascoltare il mare”. Un testo drammatico e sferzante su una coppia che non riesce a lasciarsi, dove la dolcezza di ‘Mille giorni di te e di me’ viene sostituita dalla rabbia e dalla disperazione. Una canzone che, a torto, non è entrata di diritto tra i suoi grandi classici.

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