Mario Lavezzi: “Dalla nostra musica nasceva il cambiamento”/ INTERVISTA

Last Updated: 15 Aprile 2024By Tags:

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Inizia all’oratorio, come tanti. E diventa uno dei maggiori autori e interpreti della musica italiana. Quando ancora era “cantautorato” e quando quando “dalla musica nasceva il cambiamento”. Mario Lavezzi proprio dall’oratorio San Vito a Milano, nel 1963, a soli quindici anni, dà il via alla sua carriera. Quando la “musica era cantautorato”, mentre “oggi raramente è così”.

(di Daniele Rossignoli)

In quell’oratorio del Giambellino Lavezzi, assieme ad un gruppo di amici, crea i Trappers, nome preso da un fumetto. “Oggi c’è il rap e il trap – sottolinea intervistato da IlMohicano- e forse abbiamo precorso i tempi di un bel po’ di anni. Anche se non avevamo nulla a che fare con il genere musicale di oggi non suonavamo certo il rap ma le canzoni dei Rolling Stones, dei Beatles, dei gruppi che allora andavano di moda”.

Come è iniziata l’avventura? 

“Abitavamo tutti nello stesso quartiere. Io in viale Misurata all’angolo con piazza Napoli, di fianco c’era Riva che anche lui abitava in viale Misurata. Mimmo Seccia abitava di fronte a me, sempre in viale Misurata, Tonino Cripezzi in via Tito Vignoli e abitava lì anche Bruno Longhi. Chi non abitava in zona ma era Gianfranco Longo, il batterista. Milano, allora, era piena di locali dove al sabato e alla domenica pomeriggio i ragazzi andavano a ballare. Noi suonavamo al Santa Tecla. Eravamo l’unico gruppo che faceva cover cantando in un inglese maccaronico o traducendo brani come ‘Yesterday’ con dei testi improponibili”.

Chi per primo ha creduto in voi?

“Teo Teocoli, più grande di noi di qualche anno, ci sentì suonare e ci offrì un contratto dal 15 giugno al 15 settembre in un locale notturno di Finale Ligure. Ci siamo fatti le ossa perchè suonare dalle nove di sera alle due del mattino non era uno scherzo. Dovevi avere una scaletta con almeno duecento canzoni che spaziavano dai Beatles a Frank Sinatra. Abbiamo suonato per un anno ma poi, all’improvviso, ci siamo accorti che non avevamo più lo stesso spirito degli inizi, eravamo forse stanchi, senza voglia. Il gruppo di sciolse e io me ne andai in una casa che i miei genitori avevano in Valganna”.

E poi i Camaleonti…

“Un giorno ricevetti una telefonata dal manager dei Camaleonti che mi chiese se volevo far parte del gruppo al posto di Ricky Maiocchi. Ho detto a mio padre che mi volevano a Roma all’indomani e naturalmente lui, che per me aveva in mente una vita da avvocato, non la prese bene. Con 20 mila lire prestatemi da mia sorella sono quindi partito per la capitale. Assieme al resto del gruppo alloggiavamo in una pensioncina. Era composta da un lungo corridoio che terminava con una tenda che delimitava la nostra stanza da altre due stanze con un bagnetto. Ci dormivamo in cinque mentre nella altre due stanze c’erano i Giganti e l’Equipe 84. Sconfortato al mattino seguente avevo deciso di mollare tutto ma venni convinto a restare. Fu la mia fortuna perchè da lì è iniziato veramente tutto”.

Una carriera interrotta, però, dopo due anni dal servizio militare

“Anche se ero risultato rivedibile alla visita di levo fui richiamato. Quell’anno ci fu il terremoto a Gibellina e mi sono dovuto presentare a Messina come ‘forza assente’. Ho dovuto quindi lasciare i Camaleonti. Ero disperato, non sopportavo la vita militare e il fatto che non potessi suonare. Per fortuna, da lì a poco, fui trasferito all’Ospedale Milanese di Baggio dove ho potuto riprendere in mano la chitarra. Grazie a una licenza sono tornato in Valganna dove ho composto ‘Il primo giorno di primavera’. Era il 1968 e da lì è cambiata la mia vita. Se non ci fosse stato il militare sarei rimasto con i Camaleonti certo, ma forse era destino che quella non fosse la mia vera strada”.

Minellono e poi Mogol e Battisti?

“Terminato il servizio militare grazie a Cristiano Minellono entrai a lavorare alla Edizioni Curci. Ho fatto sentire a Minellono la musica de ‘Il primo giorno di primavera’ e lui buttò giù un testo: ‘è giovedì 19 ma per me è solo il giorno che ho perso te…’. Bello. A chi lo diamo? Pensammo subito ai Dik Dik che avevano già fatto la cover di ‘A wither shade of pale’ (‘Senza Luce’) dei Procol Harum. Mogol, che era il produttore dei Dik Dik, sentita la canzone ci disse che aveva appena pubblicato un successo che era ’29 settembre’. Non era il caso di presentare un altro brano con un’altra data. Allora si cambia con ‘Il primo giorno di primavera’ dando anche un significato alla canzone. Mogol ha cambiato gran parte del testo e Lucio Battisti ha fatto l’arrangiamento. L’anno dopo Battisti e Mogol fondano la Numero Uno e io entro a far parte della loro etichetta. Nasce la band Flora Fauna e Cemento.  Arriva poi il Volo, il gruppo venne fondato nel 1974 su iniziativa di Mogol e composto anche Alberto Radius, Vince Tempera, Gabriele Lorenzi, Bob Callero e Gianni Dall’Aglio. L’intenzione della Numero Uno era quella di disporre di un gruppo anche per album di altri artisti, come avvenne per ‘Tir’ di Loredana Bertè”.

Come è nata con ‘Vita’ la coppia Dalla – Morandi?

Arriva poi il successo di ‘Vita’ di Dalla-Morandi. “Lucio Dalla aveva la capacità di essere un grandissimo manager di se stesso. Aveva una apertura mentale pari a nessuno. Capiva al volo la potenzialità di un brano. Quando doveva realizzare un album aveva l’intelligenza di comprendere che in quel momento, magari, non aveva la canzone adatta per trainare il disco. Una canzone che poteva diventare una hit, che avrebbe fatto cresce l’intero album. Per l’evento ‘Dalla-Morandi’ aveva capito che non aveva la canzone giusta e allora scelse ‘Vita’. In origine la canzone di chiamava ‘Angeli sporchi’. Mogol l’aveva dedicata ad una ragazza, che era una amica di mia moglie, della quale si era innamorato. Essendosi anche lei innamorata di lui gli aveva confessato cosa aveva fatto prima di conoscerlo, quante avventure aveva avuto. La canzone iniziava con ‘Cara, le nebbie si diradano e oramai ti vedo. Non è stato facile uscire da un passato che ti ha lavato l’anima…’. Dalla ha cambiato ‘Cara’ in ‘Vita’ ed è diventato un successo internazionale”.

Un ricordo di Milano?

“La trattoria Arlati. All’inizio era un semplice bar dove alla sera con Radius e gli altri ci ritrovavamo a giocare a carte. Poi, con l’arrivo di Mogol, abbiamo trasformato la cantina in un locale dove fare musica. Tanta musica. A quei tempi nasceva proprio dai piccoli locali, dalle cantine. Milano era ricca di posti dove andare a suonare: dal Tricheco al Santa Tecla, dal Bar Commercio al Ciao Ciao”.

E oggi?

“Oggi i ragazzi scrivono tutto a una velocità spaventosa. C’è stato il Festival di Sanremo e arriveremo a fine aprile che ci saremo già dimenticati dei pezzi del Festival. Gli stessi artisti che hanno preso parte a Sanremo pubblicheranno un pezzo per l’estate. Le canzoni durano ormai al massimo tre mesi. ‘Il primo giorno di primavera’ è uscita il 21 di marzo. Io andavo a dormire pensando che il pezzo doveva a tutti i costi andare in classifica. Ero determinatissimo. Passano sei mesi e a settembre la canzone arriva per sei settimane prima in classifica e vende un milione di copie. Quando mai potrà succedere una cosa del genere oggi. Tutto allora aveva i suoi tempi. Si andava nei negozi si ascoltava un album prima di acquistarlo. Era tutto molto più approfondito. Oggi è tutto in superficie. Non si può confrontare la musica di oggi con la musica di allora. Allora c’era della creatività in tutti i settori: arte figurativa, design, grafica, moda, cinema, teatro, televisione, musica. La musica è stata sempre in tutti i tempi, anche prima della guerra, la colonna sonora della società che si stava vivendo. L’epoca beat, i figli dei fiori. Nasceva dai ragazzi il cambiamento dei costumi. L’impegno politico che c’era allora, il ’68. La musica era cantautorato. Ora raramente, è così”.

 

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