TEATRO/ Al Carcano la seconda parte del progetto triennale di arte partecipata ‘El nost Milan’
Ispirato all’omonima opera di Carlo Bertolazzi divisa in due atti (‘La povera gent’ e ‘I sciori’), che debuttò proprio al Teatro Carcano nel 1893, ‘El nost Milan’ è un progetto triennale di arte partecipata che nasce da un’idea di Serena Sinigaglia e coinvolge trasversalmente i partecipanti ai laboratori per la cittadinanza, tenuti dalle compagnie ATIR, Proxima Res, PEM ed Eco di fondo in diversi municipi della città, che confluiscono in tre distinti eventi di impatto cittadino, diretti dalla stessa Sinigaglia. Sono i cittadini stessi a raccontare Milano, quella di fine ‘800 in cui debuttò l’opera e quella dei giorni nostri, alla riscoperta dei luoghi di povertà e di ricchezza e delle origini linguistiche della città.
La cornice narrativa del secondo anno di progetto è ‘I signori’, cui è dedicato il secondo atto della commedia di Bertolazzi: questa volta (dopo ‘La povera gente’ del primo capitolo) i gruppi esploreranno luoghi di ricchezza della città di Milano oggi particolarmente significativi. L’elaborazione drammaturgica sarà a cura dei formatori e dei drammaturghi dei diversi gruppi laboratoriali.
“Il progetto triennale ‘El Nost Milan’ -spiega Serena Sinigaglia- nasce dall’esigenza di trovare una ‘casa’ per l’ampia comunità che partecipa ai laboratori di Atir rivolti al territorio: educatori, attori, registi, adolescenti, anziani, diversamente abili, studenti delle accademie di belle arti, stranieri e minori non accompagnati, drag queen e king, adulti amatori. In assenza di un luogo fisico (il Teatro Ringhiera, chiuso dal 2017 per lavori di ristrutturazione) occorreva trovare un luogo metafisico, capace di tenere unite le persone e dare senso e continuità al progetto di inclusione sociale che tanto ci sta a cuore. Una narrazione comune, una grande storia da condividere, mi è sembrato quel luogo metafisico che poteva tenerci uniti. Ed ecco El Nost Milan del Bertolazzi. Un’opera verista che racconta la città, la stessa che come cittadini vivono tutti: Milano. Un’opera colossale, direi epica, che debuttò proprio al Teatro Carcano a fine ‘800″.
“‘El Nost Milan’ -aggiunge- è diventato l’ispirazione per un viaggio alla scoperta di Milano, oggi. Cittadini che esplorano la città e la raccontano ad altri cittadini. Una città che si specchia in se stessa. A teatro. L’anno scorso abbiamo affrontato la prima parte del testo: ‘La povera gente’. Quest’anno affrontiamo la seconda parte: ‘I signori’. Il lavoro svolto nell’arco dell’anno -ricorda- è stato lo stesso del precedente: individuare dei ‘luoghi’ di assoluta ricchezza nella città, provare andare a visitarli, a conoscerli dal vivo e poi restituirli in un frammento, in una scena teatrale. Ogni gruppo laboratoriale ha un educatore, un regista e un drammaturgo di riferimento. Le varie scene vengono poi cucite da me e da Tindaro Granata in un unico flusso, grazie anche agli interventi narrativi affidati a Lella Costa. A differenza dell’anno scorso il viaggio è stato molto difficile”.
“La maggior parte dei luoghi scelti -precisa Serena Sinigaglia- si sono rivelati inaccessibili. La vera ricchezza, abbiamo constatato, si mostra continuamente, attraverso prodotti e visioni, ma non si svela mai. Contratti di riservatezza, tornelli e porte blindate, vetri oscurati, badge, sorveglianza, accessi laterali chiusi ai più, citofoni privati che mai diresti possano condurre da qualche parte, eliporti, corridoi, un dedalo di impedimenti. La vera ricchezza è inafferrabile, misteriosa, impalpabile, immateriale, segreta e, sorprendentemente, sobria. Puoi adorarla, desiderarla, addirittura agognarla ma conoscerla, no, non puoi”.
“Con Maria Spazzi, scenografa responsabile del coordinamento scene, Marianna Cavallotti e Chiara Modolo, scenografe responsabili del coordinamento attrezzeria e infine Claudia Botta, costumista responsabile del coordinamento costumi, abbiamo pensato ad un luogo magico, avvolto dalla penombra, dove strani sacerdoti si aggirano e dove un enorme sfera nera appena appena dorata si erge come simbolo da venerare. Un mistero che avvolge la condizione umana da sempre, a cui è quasi impossibile sfuggire. Uno dei riferimenti principali è stato ‘Eyes Wide Shut’ di Stanley Kubrick. La mancata esperienza ha reso tutto più complesso: il rischio di dire banalità, di restare sulla superficie dell’onda, di diventare retorici o scontati era altissimo. Abbiamo cercato, quindi, di fare la sola cosa che ci sembrava reale e onesta: raccontare l’esperienza mancata. In taluni casi siamo andati di fantasia, in altri abbiamo messo insieme quelle poche informazioni raccolte, in altri ancora abbiamo restituito le emozioni dei partecipanti di fronte a quelle porte chiuse e quelle bocche cucite. Sempre armati di ironia e leggerezza”.
(Ros – Il Mohicano)