L’Orchestra Sinfonica di Milano riparte dal Teatro alla Scala l’11 settembre

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Milano, 20 luglio 2022 (ILMOHICANO-MM) – L’Orchestra Sinfonica di Milano anche per la Stagione 2022/2023, riparte dal Teatro alla Scala. L’Orchestra, che ha presentato la sua nuova identità e la sua nuova veste grafica negli scorsi mesi, giunge al primo appuntamento della sua prima stagione con la sua nuova pelle, domenica 11 settembre alle ore 20, e lo fa mettendo subito in campo tre artisti entrati nel roster di Largo Mahler: sul podio Andrey Boreyko, Direttore Residente dell’Orchestra Sinfonica di Milano, e come solisti i fratelli Lucas&Arthur Jussen, artisti in residenza all’Auditorium di Milano. Sul palco del Teatro alla Scala l’Orchestra scopre subito alcune delle sue migliori carte per la stagione in partenza, ed è proprio al mondo dell’opera che è dedicata la prima composizione in programma, quasi una dedica al Tempio della lirica, con l’Ouverture da ‘I maestri cantori di Norimberga’, di Richard Wagner, eseguita per la prima volta esattamente 160 anni fa. Esso costituisce un completo riassunto musicale della storia: denso di materiale tematico, il suo carattere è al contempo appassionato e scherzoso, esponendo fin dall’inizio il sentimento e l’atmosfera di allegria puramente umana tipica dell’opera.

Qualità e internazionalità. Andrey Boreyko e i Fratelli Jussen. Sul podio del Piermarini sale il sessantaquattrenne direttore pietroburghese, al suo debutto nella veste di Direttore Residente della compagine di Largo Mahler dopo una fortunata serie di appuntamenti che l’anno visto ospite all’Auditorium di Milano negli scorsi mesi: a partire dal concerto inaugurale del portale streaming dell’Orchestra, di cui è stato il primo, indimenticabile protagonista, fino all’ultimo appuntamento del febbraio 2022, occasione in cui, a pochi giorni dall’infuriare della guerra in Ucraina, propose di eseguirne l’inno prima del programma previsto, in solidarietà alle vittime del conflitto appena scoppiato. Boreyko è bacchetta di grande esperienza e profonda intelligenza, una saggezza che viene in questo caso esaltata dalla freschezza di spirito di Lucas e Arthur Jussen, fratelli geniali che hanno letteralmente “incantato” il pubblico milanese nelle loro esecuzioni con l’Orchestra Sinfonica di Milano. Gioia ed esuberanza giovanile disciplinate, sempre, da una rigorosissima tecnica e da una concentrazione intensa, oltre all’indescrivibile intesa musicale che vige tra i due: “Le nostre case distano solo 20 metri, e non c’è sera che non ci riuniamo al piano di uno o dell’altro”. Un legame quasi simbiotico che emerge dalla coesione sonora che riescono a costruire.

Ne hanno occasione nell’interessante partitura che rappresenta il cuore dell’impaginato di questo Concerto inaugurale, il Concerto per due pianoforti eorchestra in Mi maggiore MWV 5 di Felix Mendelssohn-Bartholdy. Compositore, Mendelssohn, che rivela un apollineo dominio della tecnica compositiva e del linguaggio musicale fin dalla più tenera giovinezza, e che intride di questo disarmante controllo il luminoso Concerto in Mi maggiore, partorito a soli 14 anni ma già potenziale emblema della natura del giovane amburghese. In tre movimenti come da tradizione, questo Concerto per due pianoforti svela fin dalle prime battute quali siano i paradigmi di Mendelssohn, in due nomi Bach e Mozart, da cui attinge la grande sapienza contrappuntistica e il solido ma spontaneo equilibrio formale. Ne risulta una partitura in cui le reminiscenze portano l’ascoltatore a orientarsi in un orizzonte estetico sfuggito alle dinamiche emotive dei romantici, imperniato su una “classicità” di rinnovato vigore e forza espressiva.

A completare il programma è la Sinfonia n. 2 in Re maggiore op. 73 di Johannes Brahms. Se la Sinfonia n.1 fu ribattezzata ‘la Decima di Beethoven’, la Sinfonia n.2, secondo alcuni, poteva rappresentare la ‘Decima di Schubert’, per quel suo carattere cantabile, quel suo dipanarsi serena in un clima lirico e disteso. Non è un caso che l’altro attributo che è stato conferito a questo lavoro orchestrale è l’aggettivo ‘Pastorale’, laddove tuttavia, in Brahms, questa caratteristica si accompagni costantemente a una interiore tensione lirica che rende “palpitanti i suoi temi anche nei momenti di più pacata distensione naturalistica”, come ci ricorda Giacomo Manzoni.

E se l’eredità brahmsiana di Beethoven, secondo Hans von Bülow, raggiunge la sua concretizzazione nella Prima Sinfonia, forse la Seconda Sinfonia rappresenta un altro esempio lampante dell’analogia compositiva tra questi due giganti della musica: il principio di rielaborazione tematica, ovvero la capacità di strutturare, a partire da cellule motiviche minute, costruzioni complesse, dense ma pienamente rispondenti alle esigenze espressive, attraverso un lavoro minuzioso di elaborazione plastica degli incisi tematici. Ed è così che il Primo movimento (“Un poco sostenuto – Allegro”) si apre con la cellula ‘Re-Do diesis-Re’, enunciata dai Violoncelli e dai Contrabbassi, e tale inciso, rielaborato e variato nelle più disparate maniere, sarà il filo conduttore di tutta la sinfonia, fino all’ultimo movimento, che si apre proprio con queste tre note, sotto un profilo ritmico diverso, passando per il lirico secondo movimento (‘Adagio ma non troppo’), e il terzo tempo (‘Un poco Allegretto e Grazioso’), che Hans Richter, alla prima esecuzione assoluta della Sinfonia, si sentì in dovere di proporre come bis, visto il clamoroso successo che ottenne. (ILMOHICANO-MM)

Credit Photo: Angelica Concari

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