Operazione ‘amnesia’ per Il Gattopardo di Netflix / RECENSIONE

Last Updated: 10 Marzo 2025By Tags: , ,

Cinema

(di Marta Cantarella)

Da un lato un caposaldo della letteratura italiana, dall’altro una delle pellicole più acclamate del secolo scorso e poi, quasi nel ruolo del terzo incomodo, una miniserie a metà tra un’opera di Shonda Rhimes (prolifica autrice delle celebri saghe di Grey’s Anatomy e la più somigliante Bridgerton) ed un dramma corale che sembra tanto in voga nel cinema italiano contemporaneo. Forse, però, è proprio per poter superare un eventuale confronto, per evitare persino di pensarci che il nuovo Gattopardo accessibile sulla piattaforma Netflix è, semplicemente, tutt’altra cosa.

Un’operazione commerciale imponente ne ha preceduto l’uscita e gli effetti di un marketing all’apparenza ben congegnato si stanno ancora consumando davanti agli occhi di chi, ad esempio a Milano, tra un’alzata d’occhi ed un controllo ossessivo del cellulare, si imbatte ora nell’occhio languido di Tancredi alla fermata Cairoli della metropolitana e ora nello sguardo penitente di Concetta a quella di Cadorna.

Il risultato sono sei episodi – che impegnano ciascuno poco meno di un giro di orologio – durante i quali è richiesto allo spettatore di dimenticarsi della poetica di Tomasi di Lampedusa, oggi protagonista di una nuova edizione di Feltrinelli con shopper di tela annessa quasi a sfregio dello sfarzo della nobilità borbonica così dettagliatamente tratteggiata nel romanzo. Sforzo altrettanto gravoso è quello che attende gli amanti del film di Visconti, del quale a Palermo si fece un gran parlare durante i mesi delle riprese e rimasto impresso nella memoria collettiva come più fedele rappresentazione del testo originale.

Il Gattopardo. Kim Rossi Stuart as Fabrizio in episode 104 of Il Gattopardo. Cr. Lucia Iuorio/Netflix © 2023

Parlare di riadattamento, di trama rivisitata sarebbe quindi riduttivo per una serie che, in realtà, vuole essere qualcosa di completamente diverso rispetto a ciò che gli affezionati della carta stampata si preparavano ad osservare. Un personaggio marginale quale quello di Concetta, interpretato da una eterea Benedetta Porcaroli, diviene invece la protagonista di un moto di emancipazione femminile, di una ribellione all’egemonia del padre-padrone che, dapprima sussurrata, sfocia in un impeto inarrestabile durante lo scorrere delle puntate.

Poco importa, allora, se il Principe di Salina, appunto, sia stato interpretato da un discreto Kim Rossi Stuart a cui, fascino a parte, manca quell’autorevolezza, mista all’arroganza, mista alla presunzione tipicamente siciliana a cui il personaggio del libro irrimediabilmente rimandava. Deludono invece i bellissimi della serie, Angelica e Tancredi, relegati ad un ruolo in cui, oltre alle indiscutibili qualità estetiche ci si chiede dove siano finiti la purezza e la grazia della prima e l’impavido eroismo del secondo.

Cosa mi è piaciuto? A costo di eccedere nel melenso, ho apprezzato la riuscita dell’operazione nostalgia. Sì, proprio quella. Quel sentimento di profondo attaccamento alla terra di quei siciliani che, vivendo lontani dall’Isola, subiscono la stessa fascinazione di un turista qualunque ma con la differenza di sentire davvero il proprio sguardo catturato ora dalla luce abbagliante del sole mediterraneo, ora da meravigliosi scorci panoramici tra mare e montagna.

Il Gattopardo di Netflix ti riporta a quei colori, a quei sapori, persino a quell’aria di spavalderia ancora oggi così presente nella Sicilia e nei suoi figli, capaci di mischiare il sacro ed il profano, il turpe con il bello così come si farebbe con la mandorla ed il caffè nella più tradizionale delle granite siciliane.

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