Simone Cristicchi, un artista libero. Non appropriatevene!
(di Maria Elena Molteni)
Negli ultimi giorni e ore Simone Cristicchi è stato al centro di un dibattito assurdo e, diciamolo chiaramente, sterile. Il punto della questione? Il fatto che si sia esibito in una chiesa (quindi???), che abbia dichiarato che in un Sanremo condotto da Amadeus si sarebbe sentito a disagio (ne avrà pure diritto), che sia contrario alla gestazione per altri. E quindi? La sua arte viene letta attraverso lenti ideologiche, etichette preconfezionate e polemiche che nulla hanno a che vedere con la profondità della sua espressione. Ma davvero crediamo di poter ridurre l’anima di un artista alla nostra ristretta visione del mondo e farne una bandiera? E di che poi? Sta parlando della sua mamma.
UN’ANIMA SENSIBILE, GIGANTE, INCLUSIVA
Cristicchi è un artista libero, un’anima sensibile che non può essere incasellata. La sua musica, la sua poetica, la sua ricerca artistica abbracciano tutto: il sacro e il profano, il dolore e la speranza, la memoria e il futuro. E proprio questa capacità di spaziare, di farsi contenitore di emozioni e riflessioni, lo rende unico. Invece.. basta un attimo e i profanatori dei sentimenti altrui hanno capito tutto. E’ pro Meloni, il nuovo Povia. Ma per favore… Siamo sicuri di non aver perso il senso della misura (questo è certo), ma soprattutto il senso del valore dell’arte e dell’espressione personale? Sarebbe, come dire, elemento costitutivo della libertà. Anche di quella costituzionale
LA RETORICA
C’è chi lo accusa di troppa retorica. Ma perché? Perché racconta la vita con parole forti, piene, senza paura di essere intenso? La sua ultima canzone tocca un tema delicatissimo: il rapporto tra un figlio e un genitore colpito da una malattia degenerativa. E non si può negare che questa sia una realtà dolorosa, difficilissima. Ma perché mai si dovrebbe pretendere che venga raccontata solo o anche per tutto il dolore e la difficoltà che porta con sè? Cristicchi sceglie un’altra strada: quella dell’amore che prevale su tutto.
Chi rivendica la necessità di un racconto più crudo, più “realistico”, dovrebbe forse chiedersi se questa esigenza nasce da una vera necessità di rappresentare la realtà o piuttosto da un’aridità emotiva che rende difficile accettare la possibilità che, anche nel dolore più grande, ci sia spazio per la bellezza e per la speranza.
DELL’ARTE NON CI SI APPROPRIA
L’arte non è proprietà di nessuno. Gli artisti non appartengono a gruppi, movimenti o ideologie. L’arte è libera, e la libertà di un artista come Cristicchi sta proprio nel suo rifiuto di essere ingabbiato in una visione unidimensionale. Si può cantare in una chiesa senza diventare il portabandiera di una visione confessionale. Si può parlare di amore e di speranza senza essere accusati di sentimentalismo. Si può raccontare il dolore senza per forza indugiare nel cinismo o nella disperazione.
La vera domanda che dovremmo porci è: perché abbiamo così paura dell’emozione autentica? Perché non riusciamo più a riconoscere la grandezza di chi sceglie di raccontare la vita con pienezza, senza vergognarsi di provare e far provare qualcosa? Forse, più che giudicare Cristicchi, dovremmo ascoltarlo davvero.