L’autenticità di Lucio Corsi: quando essere se stessi è la vera rivoluzione (Recensione)
‘Volevo essere un duro, però non sono nessuno‘ di Lucio Corsi risuona nelle orecchie e, in qualche caso, fissa tra i pensieri quella che, ascolto dopo ascolto, appare sempre più una resa incondizionata. Resa che, lungi dall’essere una sconfitta, assume invece i contorni di una piena e consapevole accettazione di sé.
Un disarmo, quello cantato dal giovane cantautore che sembra stridere con il circo nel quale, come bestie, viviamo le nostre vite di esseri ammaestrati, alla ricerca dell’omologazione: essere qualcosa di diverso da ciò che ci suggerisce la nostra natura è considerato l’unico modo per sopravvivere.
Ci si affanna, si corre. In realtà, il più delle volte, si rincorre qualcosa: un traguardo scivolato tra le mani, un treno che sferraglia sfilando rapido davanti ai nostri occhi mentre noi, quasi sbigottiti, rimaniamo immobili a fissare la nostra ombra riflessa sul binario.
E poi, finalmente una mano tesa, un cambio di prospettiva, inatteso e quanto mai salvifico: “Ma non ho mai perso tempo, è lui che mi ha lasciato indietro”: parole e note che, grazie alla voce e alla penna del cantautore, hanno il sapore dell’assoluzione.
E allora, finalmente, possiamo chiederci: siamo noi ad aver perso tempo, ad essere rimasti indietro o è lui, beffardo, a scandire il ritmo della nostra vita attraverso delle tappe da raggiungere – e poi superare – e non, invece, per il tramite della nostra natura, della nostra creatività?
“L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo”. Recitava Friedrich Nietzsche nel prologo del suo ‘Così parlò Zarathustra’, finendo con il divenire una celebrazione dell’eroe classico, quando alle teorie del filosofo proverà ad accostarsi il poeta D’Annunzio.
Oggi, bonā pace, assistiamo quasi increduli al ribaltamento di questa filosofia: “Quanto è duro il mondo, Per quelli normali”, risuona il suo canto. “Non sono altro che Lucio” ripete, due volte, proprio sul finale. Sì, perché ciò che resta, specialmente alla fine (di un percorso, di un amore, di una carriera, perfino di una vita) è ciò che davvero siamo. Nella nostra pienezza e complessità. E così, rimanere fedeli alla propria autenticità è la vera rivoluzione dell’uomo contemporaneo.