L’Artemisia Gentileschi dimenticata in un magazzino reale torna in pubblico per la prima volta

Arte

Susanna è nuda, coperta a malapena da un lembo di stoffa bianca mentre, uscita dal suo bagno, si sostiene appoggiata ad un gradino quando due uomini anziani la sovrastano con l’intento di abusare di lei.
(di Antonella Zangaro)
Artemisia Gentileschi ha il volto di Susanna, dipinge con mano ferma e l’orgoglio di chi aspira al bello e al giusto dopo aver subito essa stessa una violenza. Il dipinto “Susanna e i Vecchioni” realizzato tra il 1638 ed il 1640 su commissione della regina Henrietta, moglie di re Carlo I d’Inghilterra, ha passato almeno 300 anni nei magazzini reali di Hampton Court, a ovest di Londra, là nel castello Tudor di Enrico VIII. Solo di recente, dopo aver trascorso qualche tempo banalmente appeso sopra un camino alla Somerset House, il dipinto è stato finalmente ritrovato e attribuito alla pittrice italiana e oggi, per la prima volta nella storia, è offerto al pubblico da re Carlo III che ne è l’attuale proprietario.


Artemisia Gentileschi, Self Portrait as the Allegory of Painting (La Pittura) 1639. Royal Collection Trust / © His Majesty King Charles III 2024

NOW YOU SEE US ALLA TATE BRITAIN DI LONDRA

“Now you see us” è la mostra che la Tate Britain ha dedicato a lei e alle tante donne che, in un viaggio lungo 400 anni, hanno lasciato la loro impronta nel mondo dell’arte, spesso restando a lungo dimenticate, nei magazzini della censura e della irriconoscenza, in una metafora della sorte del quadro di Artemisia Gentileschi.
Lei resta indiscussa pioniera delle artiste votate alla pittura come attività primaria, riconosciuta ed ammessa, dal ‘500 a metà del secolo scorso.
All’epoca non era scontato per una donna prendere tela e pennello e dare libera espressione alla propria capacità creativa per farne una professione, di più, era vietato. All’inizio solo le figlie, le sorelle o le mogli di artisti, è il caso di Artemisia, o appartenenti a famiglie nobili potevano permettersi, per diletto, di dipingere. Alle donne, quelle più dotate e fortunate, veniva concesso di fare copie, di lavorare senza uscire dai binari, perchè, il tempo lo ha dimostrato, quando hanno potuto farlo, la loro espressività le ha lasciate libere di cogliere ed esprimere su tela dimensioni e prospettive nuove, più immaginifiche, più schiette: uniche. La fantasia la loro forza, la censura il loro limite.

LE PRIME DONNE ‘ARTISTE PROFESSIONISTE’ DELLA STORIA

La mostra restituisce al grande pubblico, almeno fino al 13 ottobre, tutte queste opere senza denuncia nè rivalsa. Come ci spiega la curatrice Tabitha Barber, quello che si vuole offrire è solo la dimostrazione plastica di una realtà, una lunga carrellata di prove ed evidenze del fatto che “le donne potevano essere artiste al di là di tutto e tutti”; al di là dei modelli imposti dalla società o dal patriarcato. Londra è stata una piazza importante per Artemisia Gentileschi, per Angelica Kaufmann e Julia Margaret Cameron; donne e pittrici professioniste che hanno saputo guadagnarsi una reputazione ed un mercato di committenti importante, generoso e riconoscente che ha permesso loro di uscire dal dilettantismo per esprimere il talento con un piglio rimasto indelebile nel tempo. Che sia chiaro, questa determinazione nell’affermarsi ha permesso loro anche di uscire dai cliché secondo i quali una mano femminile poteva ritrarre solo immagini delicate di nature morte, fiori, ritratti gentili e panorami in acquerello. Lo sdegno che sfugge tra la paura nell’atteggiamento di Susanna davanti ai Vecchioni, così come il pennello e la tavolozza nell’autoritratto di Artemisia (nell’allegoria de La Pittura, 1638-1639), le scene di battaglia, i cavalli in corsa e i nudi in fila lungo le gallerie della Tate Britain dimostrano che non esistevano limiti alla creatività femminile.

IL COMPIMENTO DELLA LIBERAZIONE

L’emergere della nuova ricca borghesia di commercianti e di una committenza reale non più vincolata dall’iconografia religiosa hanno liberato l’arte nel suo momento di massima diffusione. Dall’800 in poi, quando i musei hanno cominciato ad aprire le porte a tutti, sono state offerte opere e fedeli riproduzioni anche a chi non aveva avuto la fortuna di nascere in Italia, a Firenze, Roma, Venezia, Napoli. Allora nascono le scuole d’arte aperte anche alle donne e con il suffragio universale del dopoguerra la liberazione era ormai compiuta. Lungo questo percorso si dipana una mostra che celebra l’opera di oltre 100 artiste che hanno fatto del loro talento una carriera e non solo un divertissement anche se la storia le ha tenute nascoste, così come la sorte ha fatto con la Susanna in fuga dai vecchioni di Artemisia Gentileschi. “Now, You Can sei Us”, “ora però ci potete vedere”.

Condividi questo Articolo