(di Daniele Rossignoli) – “Siamo isolati dalle paure”, Luciano Ligabue, alla vigilia dell’uscita del suo ultimo album ‘Dedicato a noi’ (disponibile da venerdì prossimo) e in procinto di ripartire per un lungo tour in tutta Italia, confessa di sentire, per la prima volta, un forte disagio provocato probabilmente dai due anni di isolamento dovuti alla pandemia, ma non solo. “Se mi guardo intorno -spiega- vedo un panorama abbastanza desolante: avendo visto l’inizio di sei decenni ho potuto constatare come questo, che per me è appena iniziato, sia l’inizio peggiore che mi ricordi. Se mettiamo insieme la pandemia, la guerra nel nostro continente, le catastrofi climatiche, i terribili episodi di cronaca nera di questa estate, con un tasso di femminicidi e stupri che segnalano l’arretratezza culturale importante. Se mettiamo anche insieme il fatto che sempre più ragazzi della Generazione Z sono costretti ad andare dallo psicologo a confessare che non hanno un’idea di futuro, e forse non ne hanno bisogno, è evidente che il quadro di insieme ci fotografa isolati. Siamo isolati dalle paure”. Paure, sottolinea “che ci allontanano sempre più dagli altri”.

Per questo, spiega “ho sentito forte il bisogno di un ‘noi’, il bisogno di fare una specie di ‘chiamata a noi’, un ‘noi’ salvifico”. L’album, spiega Ligabue, è composto da diversi ‘noi’: “il primo è il ‘noi’ della coppia, poi c’è un ‘noi’ che è rappresentato dal gruppo famigliare, che casualmente riguarda anche il fatto che mio figlio ha suonato nell’album. Poi -prosegue- c’è un ‘noi’ da cui io non riesco mai ad esimermi ed è nel momento in cui salgo sul palco. Lì mi sento all’interno di un ‘noi’ che condivide con gli altri, almeno per due ore e mezza, gli stessi valori e gli stessi prinicipi che io canto. C’è poi un ‘noi’ un po’ più complicato da definire, composto anora da gente che si sente fuori tempo, fuori moda, fuori posto, sempre fuori da qualcosa e di cui io sono un soggetto partecipante di questo ‘clan’ che ha bisogno di ritrovarsi, di sentire che i principi e i valori che ha in comune vanno difesi, vanno protetti per provare a dare una destinazione a chi siamo”.

Ma fra i valori che Ligabue vuole mettere al centro di questo ‘noi’ “e che vorrei avere in comune con altri c’è il valore della pace”. ‘Dedicato a noi’, racconta Ligabue “è un disco che parte da lontano, è l’album per il quale rispetto a tutti gli altri siamo rimasti in studio per più tempo”. Un album nato in piena pandemia: “come tutti eravamo disorientati e ad un certo punto mi sono chiesto cosa potevo fare. Andare in studio a fare qualcosa mi sembrava la soluzione migliore per affrontare tutto questo. Non c’era il progetto di un album ma io ho cominciato a tirare fuori delle canzoni che avevo un po’ già scritto o che stavo scrivendo. Pian piano si sono messi insieme una trentina di brani e tra questi si sono fatti largo questi undici”.

‘Dedicato a noi’ è il primo album di Ligabue che, in un certo senso, guarda al passato più che al futuro: “ho cominciato a fare questo mestiere a trent’anni -ricorda- che vuol dire che probabilmente in tanti anni ho compresso dentro di me un bisogno di dire delle cose che non sapevo di avere così intensamente. A trent’anni mi tolgono il tappo, mi permettono di fare il mio primo album e da allora, periodicamente, per altri trentanni ho fatto tantissimo, forse troppo, ho esagerato. Se si conta il numero di album, il numero di canzoni, se in mezzo ci si mette tre film, tre raccolte di racconti, un romanzo, una racolta di poesie e un musical e tutti i tour -osserva- non ho mai vuto il tempo, e probabilmente la voglia, di guardare al passato. Negli ultimi trent’anni andavo avanti e basta poi è scoppiata la pandemia e se non puoi guardare avanti guardi indietro. E’ stato il primo momento in cui, fermandomi, ho dovuto fare i conti con quello che avevo fatto. ‘Dedicato a noi’ è il primo album che faccio essendo più consapevole di quello che ho fatto”.

E questo, sottolinea “è l’unico aspetto positivo della pandemia, avermi consentito di guardare al passato e realizzare una autobiografia, di rendermi conto della fortuna che ho avuto di crescere con due genitori che, pur non avendo finito le elementari, avevano un tale valore culturale nel senso di valori e di modello da passarmi, che non finirò mai di ringraziare”. (Ros – Il Mohicano)

 

Credit Photo: Maurizio Bresciani