A Dublino, Lavinia Fontana: pioniera di arte e nudo

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(dalla nostra corrispondente da Londra, Antonella Zangaro)

Come si poteva lasciare memoria di sé ai posteri quando ancora non esisteva la fotografia? Come si poteva far sfoggio del proprio potere e benessere con i contemporanei prima di click, social e like? Le grandi corti europee rinascimentali avevano i pittori, ritrattisti, al seguito di regnanti e nobili; a Bologna c’era Lavinia Fontana. L’ubriacatura verso il recupero del tratto artistico femminile del passato è di gran moda di questi tempi. Dopo che il mondo, non solo l’Italia, ha riscoperto Artemisia Gentileschi, ora è il turno di Lavinia Fontana. Dublino è pazza di lei e la National Gallery of Ireland, che custodisce e ha appena restaurato l’immensa Visita della Regina di Saba a Re Salomone, (1599), ha da poco inaugurato una intera mostra dedicata all’artista “pionieristica e che ha saputo rompere le regole” del suo tempo.  “Lavinia Fontana: Trailblazer, Rule Breaker”, aperta fino al 27 Agosto.

Intraprendente, coraggiosa e dirompente; tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, con la sua arte, è arrivata dove nessuna era mai riuscita prima, salvo poi finire nel dimenticatoio della storia; archiviata come se non fosse mai esistita. Oggi il suo nome oggi viene associato ai grandi del Rinascimento, ma quello che lei è riuscita a rappresentare e ad ottenere tra i contemporanei non era affatto scontato all’epoca. Figlia d’arte, il padre era uomo di bottega caduto un pò in disgrazia, Lavinia Fontana è stata avviata alla carriera pittorica nel tentativo di risollevare le sorti della famiglia arrangiando per lei un matrimonio discretamente redditizio che le garantisse di poter continuare a lavorare alle sue tele. L’operazione è riuscita facendola convolare a nozze con l’imolese Gian Paolo Zappi, a sua volta ex allievo della bottega di Prospero Fontana, meno dotato della moglie, per questo motivo, nell’impresa familiare, oltre a farle fare 11 figli, si occupava degli aspetti economici legati alla committenza e al reclutamento di manodopera utile al lavoro.

 

Lavinia Fontana, Venus and Mars, c.1595. Fundacion Casa de Alba, Madrid

Contemporanea dei fratelli Carracci, Lavinia impara l’arte attenta della riproduzione del reale, ma il suo grande successo esplode anche grazie alla capacità di raffigurare – realisticamente – la moda del suo tempo. A beneficiarne, non solo i suoi soggetti, donne e uomini della borghesia emiliana ambiziosi e attenti al gusto, ma anche il tessuto manifatturiero bolognese. Uscendo dall’anonimato al quale erano costrette quasi tutte le artiste dell’epoca, Lavinia Fontana è diventata la ritrattista più in voga della sua città, (papalina), per poi spostarsi a Roma e comunque sempre lasciando in eredità la testimonianza dettagliata dei tessuti, dei ricami e dello stile del tardo ‘500.

La moda, una passione condivisa dai nuovi ricchi in una città che stava trasformatosi in importante centro produttivo, dove tutti erano ansiosi di essere riconosciuti e accolti a corte per fare sfoggio di un nuovo potere economico. Bologna era la città degli orefici, della seta, dell’organza; con il suo tratto, la Fontana sapeva accarezzare i corpi delle sue donne con la lucentezza e la trasparenza maliziosa dei veli Made in Bologna, adornandole di gioielli e ricami rari e puntigliosi nel dettaglio. Il rosa il suo colore, i diamanti le pietre preziose spesso raffigurate in nero tra la filigrana “perché ancora non si era ancora imparato il taglio perfetto per farli risplendere”, ci spiega la curatrice della mostra  di Dublino, Aoife Brady. E Tiffany non aveva ancora insegnato come incastonarli in un guscio aperto per farli risplendere da ogni lato.

L’artista, negli autoritratti era essa stessa parte della scena. I pittori, ormai, non erano più considerati meri artigiani, il loro ruolo si era elevato e per questo anche Lavinia Fontana interpretava una parte abbigliandosi in modo accurato e à la page, per dare un effetto magico al momento della posa.  Le pellicce di zibellino erano molto amate all’epoca, anche perché simbolo di fertilità, indossate da uomini e donne; così come le martore, che venivano inserite negli abiti con la testa incastonata di oro e gioielli. Per i ritratti si usavano gli abiti di nozze, poi ritagliati, riciclati e ridisegnati per gli anni a venire e la moda dei colletti che potevano essere sostituiti all’occorrenza, serviva a preservare i tessuti, spesso intarsiati di gemme preziose e per questo difficili da pulire. Lavinia Fontana si è anche spinta oltre e ha avuto l’ardire di spogliare i suoi soggetti, rompendo tutti i tabù del suo tempo. Maliziosi i nudi mitologici di Venere e Marte (1595) o Minerva in atto di abbigliarsi (1613). E siccome ritrarre corpi femminili senza veli era già sufficientemente ardito per una donna pittrice, pensare anche di trovare modelle disposte a spogliarsi per lei era da considerarsi del tutto impossibile.

Ecco perché è facile immaginare che Lavinia, per rompere le regole fino in fondo, abbia usato il suo stesso corpo, giocando con l’immagine riflessa negli specchi, per pennellare il nudo delle sue donne, mitologiche e maliziose.

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