Pretty Woman, il musical di scena a Londra. Ma la storia è ancora attuale?

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(dalla nostra corrispondente da Londra Antonella Zangaro)

Ci sono voluti trent’anni prima che le passeggiate sull’Hollywood Boulevard che portarono Vivian/Julia Roberts tra le braccia del ‘principe’ Edward/Richard Gere si trasformassero da film ad un musical. Pretty Woman, infatti, dopo aver debuttato a Broadway è ora in scena a Londra dove resterà fino al prossimo aprile. Naturalmente in queste tre decadi tante cose sono cambiate, anche e soprattutto nella cultura e nella sensibilità collettiva. Siamo passati attraverso il #metoo che forse all’epoca avrebbe censurato la Cenerentola moderna che passa dal marciapiede alle lussuose stanze d’hotel in California fino ad arrivare all’altare. Nonostante all’epoca in cui uscì nelle sale, era il 1990, sbancò ai botteghini con incassi pari a circa 350milioni catapultando Julia Roberta nell’olimpo della star di Hollywood, anche questa pellicola, come è toccato a Via col Vento, prima e poi a Grease, ha subito critiche dai movimenti femminili.

Addirittura, tre anni fa, all’annuncio della preparazione del musical, Sandi Toksvig, co fondatrice del movimento inglese Women’s Equality Party, condivise le sue critiche con il quotidiano domenicale Sunday Times, domandandosi se fosse ancora necessario incasellare le donne in quel cliché della prostituzione raccontata in maniera ‘lieve’, per farle redimere con l’amore di un uomo pieno di soldi. Altri tempi, ma non va dimenticato che anche Daryl Hannah nel 2007 dichiarò di avere rifiutato la parte, poi passata alla Roberts, per questo motivo. “Glorificare una donna – disse – che da prostituta sposa il principe azzurro per vivere felici e contenti non fa per me. La prostituzione non può essere trattata “romanticamente”, né come una scelta di carriera come un’altra.”

Chi sicuramente è passato sotto la penna del revisionismo contemporaneo è la figura della migliore amica della protagonista che, la censura dell’edizione teatrale ha voluto salvare dal suo destino: nel film, nonostante l’incoraggiamento dell’amica che ottiene il suo riscatto dalla vita, Kit decide di restare dov’è, prendendo una nuova coinquilina e continuando a fare la prostituta. Nel musical la giovane, salutando l’amica rivestita e ripulita come si confa’ ad una signora dei piani alti, annuncia che davanti a lei si prepara un futuro da poliziotto. Naturalmente questa non sarà l’unica variazione sul tema offerta dalla versione teatrale del celebre film riscritta da Garry Marshall e J.F. Lawton, mancano anche tutte le canzoni della colonna sonora. A teatro risuonano le note dei brani composti ad hoc da Bryan Adams con Jim Vallance. Il cantante canadese, prima del debutto in scena del musical, aveva fatto sapere che nel periodo di lavorazione a testi e musiche si era astenuto rigorosamente dal rivedere il film per non essere influenzato nella sua creazione, perché preferiva concentrarsi sulla storia e sui personaggi. A

l pubblico la scelta di decretare il successo o meno dei brani scritti e composti per la versione teatrale, sicuramente, per chi, come molti di noi, ha visto il film tante volte da sapere le battute a memoria, le melodie che accompagnano Vivian nella sua scalata al riscatto mancano molto. Evidentemente gli autori lo hanno capito e se lo immaginavano, tanto che l’ottimo Bob Harms, nella parte del bagarino di Hollywood Boulevard, prontamente rivestito per impersonare poi l’impeccabile direttore d’hotel di lusso, (che mentre balla gioca fluidamente sulla sua mascolinità), interpretando perfettamente l’insofferenza del pubblico (noi l’abbiamo provata fino alla fine del primo atto) inizia il secondo atto sulle note, tre o quattro non di più, della celebre “Oh, Pretty Woman” di Roy Orbison (1964); ma tanto basta per riaccendere le speranza di sentire la canzone tutta intera e finalmente potersi riconoscere nella storia a pieno. Il personaggio sul palco ammicca e, bloccando la chitarra con le mani, sorride “dovrete aspettare altri 59 minuti prima di sentirla…”. E sembrano davvero eterni.

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