Francesco Guccini: “Ho sempre tifato per i perdenti”

Last Updated: 17 Novembre 2022By Tags: ,

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(di Daniele Rossignoli)  “Ho sempre tifato per i perdenti, fin da piccolo”. A Milano per presentare, un po’ a sorpresa, il suo ultimo disco, ‘Canzoni da intorto’, per il quale dopo diversi anni è tornato a cantare, Francesco Guccini ricorda, tra un aneddoto e l’altro, gli anni della adolescenza quando, appena finita la guerra, ascoltava vecchie canzoni popolari dal sapore anarchico e un po’ rivoluzionario, e che ora, a distanza di anni, ha deciso di interpretare anche se, tiene a sottolineare “con quella poca voce che mi è rimasta”. A 82 anni suonati, Francesco Guccini sembra aver ritrovato la voglia di lasciare, anche se solo per poche ore, la sua Pavana e immergersi nel caos di Milano, sottoponendosi volentieri alle domande dei giornalisti.

“In seconda media -ricorda il ‘maestro’ Guccini- ho studiato l’Iliade. Tra i mei compagni c’era chi tifava per gli Achei e chi tifava per i Troiani, cioè i perdenti. Io ho sempre tifato per i Troiani e ancora oggi tifo per i perdenti”, riferendosi ai risultati dell’ultima tornata elettorale. “Non sono mai stato comunista -tiene a precisare- anche se tutti mi ritenevano e mi ritengono tale. Semplicemente sono stato un simpatizzante anarchico ma oggi, nel 2022, definirsi anarchico forse non ha più senso se non per nostalgia”. Quindi entrando più nel dettaglio dei risultati elettorali di due mesi fa “gli italiani -osserva- hanno deciso di premiare un partito che ha come simbolo una fiamma tricolore. La stessa fiamma che arde sulla tomba di Mussolini e questo non è che mi riempie il cuore di gioia”.

Quanto al disco, undici cover, alcune di queste sì dal sapore anarchico (come ‘Morti di Reggio Emilia’, ‘Nel fosco fin del secolo’, ‘Addio a Lugano’, ‘Ma mi’ o ‘Sei minuti all’alba’) “è una folle operazione -commenta- che nasce diversi anni fa, quando la sottoposi al mio manager di allora che mi bocciò il progetto. Adesso, a distanza di molti anni, ho scelto di riprendere quelle canzoni che avevo imparato da bambino. Non so ancora adesso dove le avessi sentite ma le avevo subito memorizzate tant’è che me le ricordo ancora. Sono canzoni che poi ho spesso cantato al bar con gli amici, tra una partita a tre sette e un bicchiere di vino”.

‘Canzoni da intorto’, per volere dello stesso Guccini (e anche della casa dicografica BMG) uscirà domani solo in formato fisico e quindi niente streaming: “Cos’è lo streaming?” chiede sornione Guccini. “Ignoro cosa sia. A parte gli ultimi due album, non ho mai presentato i miei dischi perchè io sono un po’ all’antica”. Poi, spiegando che con questo disco ha rotto quella che dieci anni fa era stata una promessa, cioè di non cantare più, Guccini precisa di “aver fatto una fatica della Madonna in questo disco. Tuttavia, con un po’ di allenamento ci sono riuscito”. Di certo c’è il fatto che però non ha più nessuna intenzione di scrivere nuovi brani nonostante sia molto prolifico dal punto di vista letterario. “La voglia di scrivere mi è rimasta -sottolinea- ma non sono più capace di scrivere canzoni. Per questo ho deciso di smettere per non dovermi arrampicare sugli specchi. Non tocco più una chitarra da anni, non sono neppure più capace di suonare e quindi è inutile che mi sforzi”.

Per quanto riguarda poi il titolo del disco “la voce ‘intorto’ -spiega- è di origine gergale e significa imbonire, circuire per convincere qualcuno o qualcuna a prestarsi a proprio vantaggio. La locuzione ‘canzoni da intorto’ fu pronunciata da mia moglie Raffaella durante un famoso pranzo coi discografici della BMG e fu accolta con entusiasmo irrefrenabile come titolo definitivo di un disco che non mi trovava, allora, del tutto consenziente e pacificato. Si tratta, infatti, di un’illazione maliziosa anche se parzialmente affettuosa. Significherebbe che le canzoni da me spesso cantate in allegre serate con amici, servissero solo ad abbindolare innocenti fanciulle le quali, rese vittime dal fascino di quelle canzoni, si piegavano ai miei turpi voleri e desideri. Ammetto che un paio di canzoni qui presenti, forse, potrebbero essere state usate alla bisogna -conclude- ma solo per un paio di volte e non di più”.

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