INTERVISTA/ Enrico Ruggeri, per la prima volta consegniamo ai nostri figli un mondo peggiore
(di Daniele Rossignoli) “Per la prima volta nella storia consegniamo ai nostri figli un mondo peggiore”. Questa l’amara analisi di Enrico Ruggeri, che nel giorno in cui pubblica il suo ultimo album, ‘La Rivoluzione’, intervistato da IlMohicano, confronta la sua generazione con quella dei suoi figli, di 32, 16 e 11 anni, una generazione “molto individualista”. Per secoli, spiega il cantautore milanese “ogni generazione migliorava qualcosina. Questa volta, noi consegniamo ai nostri figli un mondo peggiore di quello che abbiamo ricevuto”. Un mondo che ha visto molti cambiamenti, soprattutto tra i giovani, con l’arrivo dei social. “Oggi -osserva- gli adolescenti sono molto più individualisti, hanno per modelli persone che in qualche modo l’hanno sfangata per conto proprio: gli influencer, i trapper, l’eroe di una stagione. Quindi, non hanno una grande consapevolezza dell’insieme, pensano che la vita sia una battaglia sgomitante per emergere, dalla quale ogni tanto qualcuno diventa miliardario e gli altri no. Tutto questo contrasta un po’ con le generazioni precedenti dove ognuno cercava di realizzarsi in qualche modo, che non voleva dire diventar ricco ma essere felice di fare cose appaganti. Oggi, i giovani li vedo meno propositivi da questo punto di vista”.
Il singolo che dà il titolo all’album, ‘La Rivoluzione’, “parla della differenza che c’è tra i pensieri dell’adolescenza e la vita vera. Una vita che poi ti sorprende e che, nel bene o nel male, è diversa da come l’avevi immaginata. Il brano ha un occhio di riguardo sopratutto per la mia generazione, quelli nati alla fine degli anni ’50 inizio anni ’60. E’ una generazione molto particolare perché ha vissuto cambiamenti epocali incredibili: siamo partiti con i gettoni del telefono e la guida ‘Tutto città’ e siamo arrivati a WhatsApp e al navigatore. Andavamo a letto dopo ‘Carosello’ e gli anni ’60 sono stati interrotti improvvisamente e tragicamente dalla bomba di piazza Fontana. Poi è arrivata la lotta armata, il terrorismo, l’eroina e l’Aids. Ci siamo fortificati attraverso le grandi tragedie di quegli anni. Però -sottolinea- è anche una generazione che regge le sorti del mondo perché oggi i capi di Stato sono tutti dei sessantenni, così come i capi di industria. C’è chi ha vinto, c’è chi ha perduto, c’è chi ha tradito e c’è chi ha vinto proprio perchè ha tradito. E’ una generazione incredibilmente letteraria”.
Anche i modelli a cui fanno riferimento i giovani d’oggi sono diversi da quelli degli anni 50/60: “oggi i cantanti preferiti da mio figlio sono quasi tutti in galera, fanno risse ed esprimono il loro disagio sociale con la violenza. C’è una rabbia sociale enorme che poi si tramuta in rivalsa sociale attraverso la musica, il calcio, instagram. Tutti modi per effettuare una rivalsa sociale”. Quanto ai testi di alcuni brani rapper, spesso violenti “dal mio punto di vista il problema è la poesia”, osserva Ruggeri. “Anche Lou Reed o Bob Dylan parlavano di cose tremende, il problema è il valore artistico. Quando sento mio figlio che mi dice che i suoi beniamini parlano dei ghetti io gli ricordo che anche Dickens ne parlava in ‘Oliver Twist’ o Victor Hugo quando ha scritto ‘I miserabili’. Non è l’argomento ma è il livello di poesia con il quale lo si tratta. Anche De Andrè è andato a rovistare nel fango per fare dei capolavori. In realtà è la valenza artistica che cambia tutto. E’ chiaro che se usi trenta parole di cui venti sono parolacce non fai poesia. Non mi scandalizzo per l’argomento, mi scandalizzo per la povertà del lessico”.
Una povertà del lessico che certo non appartiene a Ruggeri: “io ho cominciato a fare musica e a scrivere testi -ricorda- perchè credevo di avere delle cose da raccontare e non mi ponevo il problema se i miei testi avrebbero avuto o meno successo. Avevo delle esigenze compositive e mi sentivo libero di fregarmene del giudizio degli altri. D’altra parte, ce lo insegna Sciascia, Flaiano, Pasolini, Gaber, De Andrè, Jannacci: grandi intellettuali -conclude- che se ne sono sempre fregati del giudizio dei loro contemporanei”.