Francesco Cerchiaro torna dopo tre mesi con il nuovo singolo ‘Sognando la tempesta’

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A tre mesi di distanza dal precedente singolo ‘Mare’, Francesco Cerchiaro torna con ‘Sognando la tempesta’, secondo tassello del disco prodotto e mixato da Max Trisotto, in uscita per Dischi Soviet Studio. ‘Sognando la tempesta’ racconta, attraverso un sogno, una storia vera ma in chiave metaforica. “Si tratta di una canzone biografica -spiega l’artista- ma la storia non è la mia. Parla di una ragazza che è venuta a patti con un passato doloroso. L’ha dovuto ricordare, scandagliare nei suoi minimi dettagli per metabolizzarlo e poterlo superare. In un certo senso, l’ha dovuto ricordare proprio per poterlo poi, finalmente, dimenticare. Per questo -aggiunge- alla storia ho dato le sembianze di un viaggio epico, un’odissea. La canzone prende la forma di un viaggio onirico dentro se stessi, dentro un ricordo doloroso che si porta con sé, scritto in un vecchio diario. Superare quel ricordo è come sognare una tempesta, che di quel ricordo è lo spartiacque; lo risveglia facendo scoppiare una guerra tra il cielo e mare, tra quello che si era prima e quello che si è diventati dopo”.

“Chi canta ama la protagonista ma non può intervenire. Proprio come nei poemi epici. Il viaggio -sottolinea- non è il suo, la tempesta non è la sua, il dolore con cui convivere non è il suo. In fin dei conti, credo sia anche un ennesimo tentativo di dire quale deve essere talvolta il ruolo di chi ama: ‘il rifugio e il vento su di te, il naufragio ed il silenzio attorno a te’. La canzone riprende il tema del rapporto tra ricordare e dimenticare, già presente nel primo singolo ‘Mare’, ma lo declina dalla prospettiva di una storia singola”.

“Musicalmente -spiega ancora Francesco Cerchiaro- ‘Sognando la tempesta’ mostra un altro lato del disco. Ci spostiamo rispetto al ritmo serrato e alle sonorità prettamente elettroniche di ‘Mare’. Qui l’atmosfera é sognante e dilatata. La canzone é suonata in un’accordatura aperta in re, con un particolare pattern di fingerpiking. Con Max Trisotto abbiamo usato i suoni di vecchi synth (Juno, Jupiter e organetti vari), per creare un tappeto che legasse il tutto, quasi a far scorrere l’arpeggio di chitarra senza però diventare invadente”.

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