‘Stray Bop’ dei ‘Bardamù’ un viaggio tra il jazz e l’hip hop

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Anticipato dal singolo omonimo, è disponibile sulle piattaforme streaming, in digital download e anche in vinile ‘Stry Bop’, il nuovo album del duo jazz-hip hop ‘Bardamù‘, formato dai fratelli Ginaski Wop e Alfonso Tramontana. “Stry Bop -spiegano a IlMohicano i Bardamù-  è assolutamente un disco jazz. La differenza che noi vogliamo segnalare è che non è un disco di jazz con commistioni rap e non è neppure un disco rap con commistioni jazz. Ci viene in mente un disco di Guru ‘Jazzmatazz’,  un album storico nel settore dell’ hip-hop, e Guru è stato un grande rapper che in quel caso aveva realizzato un disco hip-hop con delle sonorità jazz”.

“Ecco -proseguono i due fratelli- noi trattiamo l’hip hop come una normale evoluzione del jazz e il rap si muove come fosse una letteratura jazz. Il nostro disco contiene diversi linguaggi, si può dire che possa essere un prodotto vintage, ma anche contemporaneo, perchè tenta di reinterpretare degli elementi del passato.

Il disco contiene numerose collaborazioni: da K.Sparks in ‘Stry Bop’ e in ‘Think of me’, Tormento in ‘Crossing’, l’attore Michael Imperioli in ‘Intermezzo’, Marianne Solivan in ‘And we will dance the love’, Arturo O’ Farrill, Rolà, Orishas, Tata Guine & Changuito in ‘Ciudadano del mundo’. Il tutto con una particolare attenzione anche ai temi sociali: “quando si fa arte in generale e musica in particolare -sottolineano i Bardamù- si ha sempre a che fare con il sociale. Il nostro concept è quello di voler presentare un nuovo modo di vedere la musica, passando anche attraverso determinati messaggi che vogliamo dare. In ‘Stry Bop’, ad esempio, invitiamo i ragazzi a tuffarsi nella vita vera e non lasciarsi abbruttire dai social, con ‘Think of me’ parliamo della distanza, ipotizzando una persona che si trova lontana dai propri affetti e che tenta di parlare al vento affinchè il vento possa portare il messaggio al destinatario. In ‘Ciudadano del mundo’ parliamo dell’immigrazione intesa come dramma di chi è costretto ad essere sradicato dalle proprie radici. Ogni brano, quindi, ha un messaggio preciso”.

Terminato l’album, i Bardamù si apprestato a tornare a Brooklyn, che è diventata ormai, da tempo, la loro casa. “Ci piacerebbe fare qualcosa in Italia -spiegano- ma ci rendiamo conto delle difficoltà  che ancora esistono in questo paese. Negli Usa noi suoniamo nei migliori locali dove si fa musica jazz, facciamo intere serate, siamo liberi di presentare la nostra musica. In Italia tutto questo non avviene. Nel 2002 siamo stati invitati al festival del jazz all’Avana. Ci sembra paradossale che non abbiamo mai avuto la possibilità di suonare in un festival del jazz in Italia. Ne fanno tanti -osservano- ci sono tanti spazi, ma per noi niente. Poi -sottolineano- vediamo che, alcuni anni fa, ad uno dei più grossi festival del jazz si è esibito lo chef Joe Bastianich. Non abbiamo nulla di personale contro di lui, ma sarebbe come se, siccome siamo capaci di fare delle uova al tegamino, aprissimo un ristorante. Un festival di levatura internazionale -concludono- non può invitare Joe Bastianich e lasciare a casa i tanti bravi talenti italiani che non riescono ad emergere”.

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